Molto materiale che presento qui è stato raccolto nel blog A Careful Examination nel post How could Joseph Smith have composed the Book of Mormon?
Un’argomentazione che è stata ripetuta superficialmente da molti (mormoni e, in passato, anche scettici) è che Joseph Smith fosse troppo ignorante per aver potuto produrre il Libro di Mormon. I mormoni ritengono che sia una dimostrazione dell’origine divina del libro, mentre una tesi popolare nel XIX secolo sosteneva che Joseph Smith avesse solamente copiato un romanzo scritto dal reverendo Solomon Spalding intitolato Manuscript Found. L’ex mormone D. P. Hurlbut aveva incontrato dei parenti di Spalding nel 1833 che gli assicurarono, dopo aver letto il Libro di Mormon, che era uguale al romanzo inedito di Solomon; la storia acquisì un’enorme popolarità per molti decenni grazie al libro Mormonism Unvailed, al quale Hurlbut contribuì anche con vari affidavit dei conoscenti di Joseph Smith e quelli degli Spalding. Dopo un incontro con la vedova di Solomon, Hurlbut dichiarò però che “Da lei ottenni un manoscritto che si supponeva fosse il manoscritto del romanzo redatto dal già citato Solomon Spaulding, che era indicato essere alla base del Libro di Mormon. Non esaminai il manoscritto fino a quando non tornai a casa dove, dopo averlo esaminato, scoprii che non conteneva nulla del genere ma che era un manoscritto su un tema completamente diverso.” (Deseret Evening News, 28 settembre 1881) La cosa più probabile è che la trama di Manuscript Found, che ha alcuni punti comuni col Libro di Mormon, ha fatto pensare alla famiglia che ci fosse stato un caso di plagio. Benjamin Winchester, parente di Hurlbut battezzato nel 1833 e grande critico della teoria Spalding, spiegò che “Joseph Smith aveva per natura un discreto livello di talento drammatico e aveva la stoffa naturale di uno scrittore di narrativa. Sebbene non fosse un uomo educato, aveva una capacità meravigliosa di intrecciare e sbrogliare trame. Credo che il Libro di Mormon fosse principalmente il prodotto della sua mente e di quella di Cowdery e, per una serie di eventi e di ragionamenti, affermo con somma fermezza che non credo che il manoscritto di Spalding sia stato utilizzato in alcun modo per creare quel libro.” (Salt Lake Daily Tribune, 22 settembre 1889)
Sostenere l’incapacità di qualcuno di poter realizzare certe opere non è una novità, infatti per esempio i musulmani dicono esattamente la stessa cosa su Maometto e il Corano: il profeta era troppo poco istruito mentre il libro è troppo bello, poetico, complesso, ha una struttura chiastica e così via. Anche certi complottisti credono fantasiosamente che vari popoli antichi fossero troppo “arretrati” e non avessero attrezzature tecniche per costruire grandiosi monumenti senza l’intervento di alieni o di Atlantide e potrei continuare.
Il fatto è che Joseph Smith non era ignorante quanto lo dipingono molti suoi seguaci, il Libro di Mormon non è un’opera che gli avrebbe fatto vincere il premio Nobel e, come visto nel post precedente, si vedono chiaramente le sue origini nella cultura nella quale Smith era cresciuto. L’Ensign di settembre 1979 ricorda che “Malgrado un’educazione limitata, Joseph amava studiare e imparare. Era influenzato in parte da associati che erano maestri di scuola. Suo padre aveva fatto scuola una volta. La nonna materna, una maestra di scuola, insegnò a sua madre i rudimenti di ‘aritmetica, calligrafia e ortografia.’ La moglie di Joseph era una maestra di scuola, ‘una donna di cultura liberale e che insisteva sull’educazione.’ E il suo scriba principale durante la traduzione del Libro di Mormon era il maestro di scuola Oliver Cowdery.”
Il cronista e storico Orsamus Turner, che aveva conosciuto Joseph Smith quando erano adolescenti, dice: “Ma Joseph aveva un po’ di ambizione e alcune aspirazioni molto lodevoli; occasionalmente l’intelletto della madre brillava fiocamente in lui, specialmente quando ci aiutava a risolvere alcune grosse questioni di morale o etica politica nel nostro club giovanile di dibattito, che avevamo trasferito alla vecchia scuola in mattoni rossi su Durfee street per liberarci della seccatura dei critici che calavano nel villaggio contro di noi; nel mentre, dopo aver colto una scintilla di metodismo nel camp meeting giù nel bosco sulla strada per Vienna, era poi diventato un esortatore molto passabile nelle riunioni della sera.” (History of the Pioneer Settlement of Phelps and Gorham’s Purchase and Morris’ Reserve, 1851, p. 214)
Pomeroy Tucker, un giornalista locale che aveva lavorato per l’editore del Libro di Mormon E. B. Grandin, conosceva Joseph Smith e dice che “Joseph inoltre, mentre cresceva negli anni, aveva imparato a leggere in modo variegato, nella cui qualifica era ben più avanti rispetto al fratello maggiore e anche a suo padre [Hyrum era il figlio più istruito degli Smith, avendo frequentato un’accademia, e il padre era stato maestro di scuola]; ed era assiduamente dedicato a questo talento, in quanto abbandonò o cambiò le sue pigre abitudini per leggere opera di fantasia e cronache criminali come per esempio quelle che oggi sarebbero annoverate fra le dime novels. La storia di Stephen Burroughs, del capitano Kidd e simili offrivano il più grande fascino alla sua sensibilità mentale in crescita. A mano a mano che avanzava in letture e conoscenza, acquisì una mentalità spirituale o religiosa e lesse di frequente la Bibbia, diventando piuttosto familiare con porzioni di essa sia nel Nuovo che nell’Antico Testamento, dai quali citava e discuteva con gran sicurezza brani scelti quando era alla presenza dei suoi superstiziosi conoscenti. I libri profetici e Apocalisse in particolare erano il suo forte. Le sue interpretazioni di passaggi scritturali erano sempre originali e uniche e le sue deduzioni e conclusioni spesso disgustosamente blasfeme secondo il credo comune dei cristiani.” (Origin, rise, and progress of Mormonism, 1867, p. 17)
Queste dichiarazioni mostrano bene che Joseph Smith non fosse un poveretto: aveva un’educazione informale ma era autodidatta, leggeva parecchio, conosceva bene la Bibbia e partecipava a dibattiti ed esortazioni con un qualche successo già in giovane età. Bisogna dargli credito sia per aver messo grande impegno nel comporre il Libro di Mormon sia per non aver mai spento la sua curiosità giovanile: anche da adulto continuerà a mantenere questo atteggiamento studiando lingue, leggendo, predicando, dibattendo e così via. In DeA 88:118 darà un consiglio spassionato: “[...] cercate nei libri migliori parole di saggezza; cercate l’istruzione, sì, mediante lo studio ed anche mediante la fede” e troviamo altrettanto in DeA 93:53: “è mia volontà che vi affrettiate a tradurre le mie scritture e ad ottenere una conoscenza della storia, e dei paesi, e dei regni, delle leggi di Dio e degli uomini, e tutto ciò per la salvezza di Sion.” Il giornalista Matthew L. Davis, dopo aver ascoltato un suo sermone di oltre due ore il 5 febbraio 1840, scriverà in una lettera alla moglie Mary le proprie impressioni: “Non è un uomo istruito, ma è un uomo schietto, assennato e dalla mente forte […] Di professione è agricoltore, ma è chiaramente erudito.” Un paio di mesi prima di morire, Smith potrà dire nel suo famoso sermone funebre per King Follett: “Ho ora predicato un po’ di latino, un po’ di ebraico, greco e tedesco e ho soddisfatto tutti. Non sono poi il grosso sciocco per cui molti mi hanno preso. I tedeschi sanno che leggo il tedesco correttamente.”
Emma anziana |
- William McLellin scrive nel suo diario il 29 marzo 1835 che aveva assistito a un discorso di Joseph Smith a Huntsburg durato tre ore.
- W. W. Phelps racconta in una lettera del giugno 1835 che Joseph “aveva predicato uno dei più grandi sermoni che io abbia mai udito -era durato circa tre ore e mezza- e svelò più misteri di quanti ne possa scrivere al momento.”
- Wilford Woodruff scrive nel suo diario il 6 aprile 1837: “Il presidente Joseph Smith figlio si alzò e si rivolse alla congregazione per la durata di tre ore”.
- Le 10 pagine di DeA 132 erano state dettate lentamente in tre ore il 12 luglio 1843, come dice William Clayton (che l’aveva scritta) in una lettera a Madison Scott dell’11 novembre 1871.
- Il sermone per King Follett dura oltre due ore (diario di Joseph Smith, 7 aprile 1844) e occupa 5 pagine del Times and Seasons, pur non essendo il testo integrale del discorso funebre.
Ci sono parecchi altri libri che sono stati scritti in poche settimane o perfino giorni (senza neanche scomodare scrittori incredibilmente rapidi e prolifici come Stephen King, Barbara Cartland o L. Ron Hubbard), per esempio Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde fu scritto in 3 giorni, Uno studio in rosso in 3 settimane, Intervista col vampiro in 5 settimane, Canto di Natale in 6 settimane, Arancia meccanica in 3 settimane, Sulla strada in 3 settimane, Il bambino con il pigiama a righe in meno di 3 giorni, Il giocatore in meno di un mese e Furore in 100 giorni di lavoro. Le pagine dettate da Joseph Smith, opera comunque non da tutti, erano completamente nelle sue capacità e non necessitano di nessun intervento sovrannaturale per essere spiegate.
Un dettaglio degno di nota è che, dopo aver perso le pagine dettate a Martin Harris, Joseph Smith non riprende da 1 Nefi ma continua con Mosia, dove erano arrivati fino alla perdita del manoscritto. Questo vuol dire che gli ultimi tre libri del Libro di Mormon a essere stati dettati sono quelli costituiti da un singolo capitolo: Enos, Giarom e Omni. Questi corti libri, che contano collettivamente solo nove pagine, vanno dal 420 al 130 a.C. Evidentemente Smith aveva fretta di terminare l’opera e saltò di corsa quasi tre secoli di storia, cosa che aveva fatto anche con 4 Nefi, che balza dal 35 al 321 d.C. in sole cinque pagine, cioè all’incirca dalla venuta di Gesù in America all’inizio della guerra in cui i Lamaniti distruggeranno i Nefiti guidati da Mormon.
L’ex missionario Ezra Booth scrive all’Ohio Star il 29 novembre 1831 di un episodio analogo alla dettatura del Libro di Mormon: “Hiram Page, uno degli Otto Testimoni e anche uno dei “money diggers”, trovò una pietra levigata sulla quale appariva una scritta che, quando veniva trascritta su un foglio di carta, spariva dalla pietra e un’altra immagine vi appariva al suo posto. Quando questa veniva copiata, svaniva come aveva fatto la prima, e continuava così alternandosi fra scomparsa e apparizione; nel frattempo continuava a scrivere finché ebbe scritto su una quantità notevole di carta. Aveva evidenti segni di una rivelazione mormonita e venne ricevuto come un documento autentico dalla maggior parte dei mormoniti finché Smith, con la sua sagacia superiore, scoprì che era una frode satanica.” Purtroppo queste rivelazioni furono distrutte, ma sarebbe stato interessante paragonarne il testo con quelle di Smith visto il loro successo fra i primi mormoni e l’utilizzo dello stesso metodo che diede alla luce il Libro di Mormon.
William Riley Hine, che aveva ospitato qualche volta Joseph Smith mentre questi scavava con Josiah Stowell a Colesville, racconta che non era la prima volta che il giovane sosteneva di aver usato una pietra divinatoria per interpretare fantasiose scritte incomprensibili: “Aveva una pietra molto chiara di taglia e forma simili a un uovo di anatra e pretendeva di poter vedere tramite essa oggetti perduti o nascosti. Disse che aveva visto il capitano Kidd che navigava sul fiume Susquehanna durante una piena e che aveva sepolto due contenitori di oro e argento. Pretendeva di aver visto delle scritte intagliate nelle rocce in una lingua sconosciuta che dicevano dove Kidd li avesse sepolti e che le aveva tradotte attraverso la sua pietra divinatoria.” (Naked Truths About Mormonism, gennaio 1888)
Tumulo di Zelph. Contea di Pike, Illinois, 1880 circa |
Joseph Smith inoltre sapeva inventare storie al volo ed era un affabulatore nato, come visto nei post sulle spedizioni di caccia ai tesori in cui raccontava vari aneddoti sulle caratteristiche dei tesori e della vita passata degli spiriti che li custodivano. Un altro esempio è quando nel 1829 si trasferì da Harmony a Fayette con la moglie e Oliver Cowdery sul carro dei Whitmer: incontrarono un viaggiatore e Smith, improvvisando, spiegherà poco dopo che l’uomo era Moroni; oppure ancora durante il campo di Sion del 1834, in cui il gruppo dissotterrerà uno scheletro e Smith racconterà che era un guerriero lamanita di nome Zelph, che viveva ai tempi del profeta Onandagus (gli Onondoga erano, guarda caso, una delle tribù che avevano abitato nella regione dei Finger Lakes, dove sorge anche Palmyra). Il giovane Smith aveva inoltre già molte idee chiare sul contenuto del Libro di Mormon: fra il 1823 e il 1824, quando aveva appena visto le tavole ma in teoria ne avrebbe dovuto ignorare le storie, sua madre racconta che “Nel corso delle nostre conversazioni serali Joseph ci raccontava alcune fra le storie più intrattenenti che si potessero immaginare: descriveva gli antichi abitanti di questo continente, i loro vestiti, il loro modo di viaggiare, gli animali che cavalcavano, le città da loro costruite, la struttura dei loro edifici, con ogni dettaglio del loro modo di far la guerra e il loro culto religioso, tanto minuziosamente come se avesse trascorso la vita fra di loro.” (Lucy Mack Smith, History, 1844-1845, libro 4, pp. 1-2)
Detto questo, sembra che lo stesso Joseph Smith si sentisse a volte un po’ inadatto alla mansione, basti pensare alle dichiarazioni in 2 Nefi 33:1: “Ed ora io, Nefi, non posso scrivere tutte le cose che sono state insegnate fra il mio popolo; né sono possente nello scrivere quanto nel parlare, poiché, quando un uomo parla per il potere dello Spirito Santo, il potere dello Spirito Santo porta le sue parole fino al cuore dei figlioli degli uomini”, Ether 12:23-26: “E io gli dissi: Signore, i Gentili si burleranno di queste cose, a causa della nostra debolezza nello scrivere; poiché, Signore, tu ci hai fatto potenti in parole, mediante la fede, ma non ci hai fatto potenti nello scrivere; poiché hai fatto che tutte queste persone parlassero molto, a motivo dello Spirito Santo che gli hai dato; e hai fatto in modo che potessimo scrivere solo poco, a causa dell’inabilità delle nostre mani. Ecco, non ci hai resi potenti nello scrivere come il fratello di Giared; poiché tu facesti in modo che le cose ch’egli scrisse fossero possenti quanto lo sei tu, fino a costringere l’uomo a leggerle. Tu hai pure reso potenti e grandi le nostre parole, al punto che non possiamo scriverle; pertanto, quando scriviamo, vediamo la nostra debolezza, e inciampiamo nel disporre le parole; e temo che i Gentili si burleranno delle nostre parole” o Mormon 9:33: “E se le nostre tavole fossero state abbastanza grandi, avremmo scritto in ebraico, ma l’ebraico è stato pure alterato da noi; e se avessimo potuto scrivere in ebraico, ecco, non avreste avuto nessuna imperfezione nella nostra storia.” Joseph sapeva benissimo di essere più dotato nel parlare che nello scrivere o nel dettare e mette ripetutamente le mani avanti per giustificare le debolezze nella sua opera. Espresse gli stessi sentimenti in una lettera scritta a W. W. Phelps il 27 novembre 1832: “Oh Signore Iddio, liberaci nei tuoi tempi dalla prigione piccola e stretta, come fossero le tenebre totali, di carta, penna e inchiostro e un linguaggio contorto, stentato e imperfetto”.
Il Libro di Mormon ha non poche sviste: la prima edizione ha centinaia di errori grammaticali che saranno corretti in varie riedizioni. David Whitmer, uno dei Tre Testimoni, spiega che “Joseph Smith metteva la pietra divinatoria in un cappello e metteva la faccia nel cappello […] Appariva un pezzo di qualcosa che somigliava a pergamena e su quello appariva la scritta. Appariva un carattere alla volta e sotto questo c’era l’interpretazione in inglese. Il fratello Joseph leggeva l’inglese a Oliver Cowdery, che era il suo scrivano principale, e quando era trascritto e ripetuto al fratello Joseph per vedere se fosse corretto, allora scompariva e appariva un altro carattere con la sua interpretazione” (An Address to All Believers in Christ, 1887, p. 12). Nonostante tutta questa precisione ci sono gravi errori nella coniugazione di verbi, un uso sbagliato del pronome thou/thee/thy (poco familiare agli anglofoni di oggi nelle sue varie forme ma già in disuso ai tempi di Smith), di much e many, di preposizioni e anche una scelta di lessico impropria: errori provenienti da ciò che Smith stesso dettava e non da sbagli di Cowdery, come illustrato da David Whitmer. Un altro caso usato spesso è una vecchia forma tipica del linguaggio campagnolo in cui a un verbo al gerundio viene messo il prefisso a-. “And it came to pass that as Ammon and Lamoni was a journeying thither” in Alma 20:8 oggi è reso in un inglese migliore: “And it came to pass that as Ammon and Lamoni were journeying thither”. Anche l’uso di they was al posto di they were, molto presente nella prima edizione, è un’espressione un po’ rustica, che si può vedere assieme a molte altre nell’edizione inglese di Le avventure di Tom Sawyer per farsi un’idea di come si parlasse in campagna. Lo stesso si può dire dell’espressione “in them days” usata al posto di “in those days.” (p. 445 dell’edizione del 1830, per esempio) Molti di questi errori vengono corretti nelle successive riedizioni del Libro di Mormon, ma mostrano un vocabolario e una costruzione testuale che mi sembrano provenienti proprio da Smith e dal suo stile più che dalla rivelazione di un dio infallibile. Anche B. H. Roberts ammette che “Dato che gli errori orali nel Libro di Mormon sono quelli che farebbe qualcuno ignorante della lingua inglese, è forte, nella mente di coloro che non sono ancora convertiti alla sua verità, la tentazione di attribuire al Libro di Mormon un’origine del tutto umana.” (Defense of the Faith and the Saints, vol. I, p. 279)
L’ultimo punto è che il Libro di Mormon non è certo un caso di alta letteratura: non è un’opera originale perché si vedono chiaramente le influenze bibliche e le credenze ottocentesche, non ha una trama particolarmente complessa (basti pensare a quanto è ripetitivo il “ciclo dell’orgoglio” che si studia regolarmente in chiesa) né è inusualmente profondo: un gran numero dei mormoni che conosco non lo ha mai neanche letto da copertina a copertina oppure ha difficoltà a farlo perché lo trova noioso o pesante. Una battuta che avevo sentito una volta in scuola domenicale era: “Hanno sparato a un missionario ma il Libro di Mormon che teneva nella tasca lo ha salvato: neanche una pallottola è riuscita a superare Alma”, famoso per i suoi lunghi capitoli di guerra sgraditi a molti. I personaggi del libro sono generalmente piatti e stereotipati, moltissimi elementi sono copiati o ispirati direttamente dalla Bibbia e molto altro materiale religioso tradisce la sua origine protestante: i migliori passaggi del libro (quelli a mio avviso con un minimo di spessore, tipo il discorso di re Beniamino o diversi elementi di 2 Nefi 2) si possono trovare tranquillamente nei sermoni dei predicatori che Joseph Smith avrebbe potuto sentire ai suoi tempi, fatto tutt’altro che sorprendente se ci si ricorda che il giovane frequentava assiduamente prediche e riunioni religiose di varie denominazioni (Joseph Smith - Storia 1:8).
Peter H. Burnett, che era stato avvocato di Joseph Smith nel 1839, descrive così il suo modo di parlare: “[…] i suoi poteri conversativi erano meramente ordinari. Si poteva vedere in un batter d’occhio che la sua educazione era molto limitata. Era un oratore impacciato ma energico. Nella conversazione era lento e usava troppe parole per esprimere le proprie idee e generalmente non arrivava al punto per via diretta.” (Recollections and Opinions of an Old Pioneer, p. 66) Queste parole si applicano benissimo anche al Libro di Mormon e al suo stile: frasi prolisse, a volte un po’ sconclusionate e decisamente più forti nei sermoni che nella parte narrativa: Smith e il suo libro sono eloquenti ma non scorrevoli. Possiamo vedere un esempio fra tanti in Alma 15, dove leggiamo: “16 E avvenne che Alma e Amulec, avendo Amulec abbandonato, per la parola di Dio, tutto il suo oro, il suo argento e le sue cose preziose, che erano nel paese di Ammoniha, essendo stato respinto da coloro che erano una volta i suoi amici e anche da suo padre e dai suoi parenti; 17 Pertanto, dopo che Alma ebbe istituito la chiesa a Sidom, vedendo un grande mutamento, sì, vedendo che il popolo era mutato quanto all’orgoglio del suo cuore, aveva cominciato a umiliarsi dinanzi a Dio e aveva cominciato a riunirsi nei suoi santuari per adorare Dio davanti all’altare, vegliando e pregando continuamente per poter essere liberati da Satana, dalla morte e dalla distruzione — 18 Ora, come dissi, avendo Alma veduto tutte queste cose, prese dunque Amulec e venne nel paese di Zarahemla, e lo condusse a casa sua, e lo consolò nelle sue tribolazioni e lo fortificò nel Signore.” Si vede chiaramente che l’autore ha perso il filo del discorso mentre detta e cerca per due volte di tornare sui binari senza neanche finire le frasi iniziate nei versetti 16 e 17. Per non parlare di passaggi ridondanti come in Mosia 7:27 “E poiché disse loro che Cristo era il Dio, il Padre di tutte le cose, e disse che egli avrebbe preso su di sé l’immagine dell’uomo, e sarebbe stata l’immagine secondo la quale l’uomo fu creato nel principio; o, in altre parole, egli disse che l’uomo fu creato a immagine di Dio, e che Dio sarebbe sceso tra i figlioli degli uomini e avrebbe preso su di sé carne e sangue, e sarebbe andato sulla faccia della terra” o in Alma 13:7 “Questo sommo sacerdozio essendo secondo l’ordine di suo Figlio, ordine che esisteva fin dalla fondazione del mondo; o, in altre parole, che è senza principio di giorni o fine d’anni, essendo preparato dall’eternità a tutta l’eternità, secondo la sua prescienza di tutte le cose”.
B. H. Roberts negli anni ’30 |
Il libro contiene varie contraddizioni, per esempio:
- L’introduzione a 1 Nefi dice che la famiglia di Lehi aveva solo quattro figli, ma in 2 Nefi 5:6 dice all’improvviso che aveva anche delle figlie.
- 1 Nefi 11:18 in origine diceva (p.25): “Ed egli mi disse: Ecco, la vergine che vedi è la madre di Dio, secondo la carne.” Nel 1837 Joseph Smith pubblica la seconda edizione del Libro di Mormon e modifica il testo (e altri passaggi simili) in: “Ed egli mi disse: Ecco, la vergine che vedi è la madre del Figlio di Dio, secondo la carne.” Durante i primi anni del mormonismo Joseph Smith non aveva ancora postulato che Dio e Gesù fossero due esseri distinti e questo si riflette regolarmente nel libro.
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Nefi dichiara esplicitamente che Gesù sarebbe venuto al mondo esattamente seicento anni dopo la partenza della sua famiglia da Gerusalemme (1 Nefi 19:8 e 2 Nefi 25:19) ma Alma il giovane, pur essendo il custode delle tavole d’oro, sostiene attorno all’82 a.C. che “noi attendiamo soltanto di udire la gioiosa novella della sua venuta proclamataci dalla bocca degli angeli; poiché il tempo verrà, non sappiamo quanto presto. Voglia Dio che possa essere ai miei giorni; ma che sia prima o poi, io ne gioirò.” (Alma 13:25)
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2 Nefi 5 si contraddice nel giro di due versetti: “15 E io insegnai al mio popolo a edificare costruzioni, e a lavorare con ogni specie di legno, di ferro, di rame, di bronzo, di acciaio, di oro, di argento e di metalli preziosi che si trovavano in grande abbondanza. 16 E io, Nefi, edificai un tempio, e lo costruii secondo il modello del tempio di Salomone, salvo che non era edificato con così tante cose preziose; poiché non erano reperibili nel paese, pertanto non poteva essere edificato come il tempio di Salomone. Ma il tipo di costruzione era simile a quello del tempio di Salomone, ed era di fattura estremamente accurata.” Prima dice che in America si trovavano metalli preziosi “in grande abbondanza”, per poi dire che il tempio che costruisce non ha tante cose preziose “poiché non erano reperibili nel paese.”
- Mosia 21:28 dice nella prima edizione (p. 200): “Ed ora Limhi fu di nuovo pieno di gioia nell’apprendere dalla bocca di Ammon che re Beniamino aveva un dono da Dio, mediante il quale poteva interpretare tali incisioni; sì, ed anche Ammon si rallegrò.” Beniamino verrà sostituito con Mosia nell’edizione del 1837, visto che il capitolo è ambientato nel 122-121 a.C. e Beniamino aveva abdicato a favore del figlio nel 124 a.C. (Mosia 6:4) La stessa operazione verrà svolta in Ether 4:1 per lo stesso motivo.
Presenta anche frasi che sono chiaramente correzioni fatte al volo
mentre Joseph Smith dettava e non scritte da un antico profeta che
incideva lentamente delle tavole metalliche. Difficile poi non notare quanto
il libro sia prolisso, fattore che indica una produzione orale più che
una scritta e nella quale Joseph Smith non avrebbe avuto alcuna
difficoltà, come visto più sopra.
- Mosia 7:1 “Ed ora avvenne che re Mosia, dopo aver goduto di una pace continua per lo spazio di tre anni, desiderò aver notizie riguardo al popolo che era salito a dimorare nel paese di Lehi-Nefi, ossia nella città di Lehi-Nefi [...]”
- Mosia 7:8 “[...] ed essi stettero dinanzi al re e fu loro permesso, o piuttosto
comandato, di rispondere alle domande che egli avrebbe posto loro.”
- Mosia 11:18 “E avvenne che re Noè mandò i suoi eserciti contro di loro, ed essi
furono respinti, ossia li respinsero per un certo tempo; perciò
ritornarono gioiosi del loro bottino.”
- Mosia 16:6 “Ed ora, se Cristo non fosse venuto nel mondo, parlando di cose a venire come se fossero già accadute [...]” (queste parole sarebbero state dette nel 148 a.C. ma parlano di Gesù al passato)
- Mosia 22:6 “Rammenta il passaggio posteriore, attraverso il muro posteriore, nella parte posteriore della città. I Lamaniti, ossia le guardie dei Lamaniti, di notte sono ubriache [...]”
- Alma 1:15 “E avvenne che lo presero; e il suo nome era Nehor; e lo portarono sulla cima della collina di Manti, e là fu costretto, o piuttosto riconobbe, fra i cieli e la terra, che ciò che aveva insegnato al popolo era contrario alla parola di Dio [...]”
- Alma 10:5 “Nondimeno, dopo tutto ciò, non ho mai conosciuto molto delle vie del Signore e dei suoi misteri e del suo potere meraviglioso. Ho detto che non avevo mai conosciuto molto di queste cose; ma ecco, mi sbaglio, perché ho visto molto dei suoi misteri e del suo potere meraviglioso [...]”
- Alma 24:19 “[...] e così vediamo che seppellirono le armi di pace, ossia seppellirono le loro armi da guerra per la pace.”
- Alma 43:38 “Mentre dall’altra parte vi era di tanto in tanto un uomo che cadeva, fra i Nefiti, di spada e per dissanguamento, essendo essi protetti dalle parti più vitali del corpo, ossia le parti più vitali del corpo essendo protette dai colpi dei Lamaniti [...]”
- Helaman 12:15 “E così, secondo la sua parola, la terra va indietro e pare all’uomo che il sole stia fermo; sì, ed ecco, è così, poiché è certamente la terra che si muove, e non il sole.”
- 3 Nefi 12:23 “Perciò, se tu verrai a me, o desidererai venire a me, e ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te -”
- Mormon 2:1 “[...] il popolo di Nefi mi nominò affinché fossi il loro capo, ossia il capo dei loro eserciti.”
- Moroni 8:22 “[...] pertanto colui che non è condannato, ossia colui che non è sotto condanna, non può pentirsi; e a costui il battesimo non serve.”
L’apparente presenza di elementi ebraici come complementi oggetti interni, domande retoriche negative, stati costrutti, complementi circostanziali al posto di avverbi, ripetizione di “e avvenne che” eccetera non deve trarre in inganno: è dovuta al fatto che l’autore cercava di imitare il linguaggio biblico, in cui è facile riconoscere questi elementi peculiari dell’ebraico anche per persone che non lo parlano in quanto si discostano chiaramente dalla grammatica inglese. Queste stesse forme sono tutte presenti nella Bibbia e si ritrovano anche in Dottrina e Alleanze, che non pretende di essere la traduzione di testi antichi ma si mantiene nella stessa vena di imitare l’inglese biblico, e in altri testi che imitano il linguaggio della Re Giacomo come The Late War o Manuscript Found senza però rivendicare nessuna antichità o autorialità ebraica. Addirittura il Libro di Pukei, una parodia del Libro di Mormon uscita sempre a Palmyra pochi mesi dopo la pubblicazione del testo mormone, presenta molti elementi ebraici proprio perché ne prende in giro il linguaggio.
Anche se in chiesa molti dicono che il chiasmo è tipicamente ebraico e che è una prova della sua antichità, in realtà questa comune figura retorica la si ritrova in tutte le epoche e fra tutte le culture, quindi è molto difficile dimostrare qualcosa quando si parte da un’affermazione sbagliata. I tre moschettieri non erano antichi ebrei perché dicevano “Tutti per uno, uno per tutti” e certi pennelli non sono reperti biblici per il loro slogan “Non ci vuole un pennello grande, ma un grande pennello.” Un cavallo da battaglia mormone proposto dal professore della BYU John W. Welch è il presunto chiasmo che si estende per Alma 36. Earl M. Wunderli, che è stato nel consiglio di amministrazione di Sunstone, mostra in un articolo di Dialogue che in realtà gli elementi che formerebbero questo chiasmo sono ripetuti diverse volte nel capitolo e che gli esempi di Welch sono solo una selezione arbitraria che mostra uno schema regolare dove in realtà non c’è nessuno schema (apofenia). Conclude dicendo che “Se il parallelismo inverso sviluppato da Welch è impressionante a una prima lettura, a un’analisi più ravvicinata è la creatività di Welch che è più rilevante. Seguendo regole flessibili egli ha formato un chiasmo selezionando elementi da un linguaggio ripetitivo, etichettando elementi in modo creativo, ignorando del testo, appaiando elementi sbilanciati e includendo perfino elementi asimmetrici.” Anche il ricercatore mormone Brant Gardner concorda che “Dopo aver esaminato le prove, sto dalla parte di Wunderli
nel concludere che l’ampio chiasmo di Alma 36 deve più alla costruzione di Welch
che al testo delle tavole.” (The Gift and Power: Translating the Book of Mormon, p. 199)
James Strang nel 1856 |
Il libro si limita a imitare lo stile e molte storie della Bibbia, arricchite dalle idee politico-religiose di Joseph Smith e da molti elementi culturali che sarebbero stati ben familiari a un americano del XIX secolo ma non ad antichi ebrei o a popoli precolombiani. Sinceramente non vedo nessun argomento teologico, morale o politico che non avrebbe potuto sentire da un pastore protestante, al club di dibattito o durante discussioni in famiglia. Non è stato male mettere insieme tutto questo e, nonostante il Libro di Mormon non sia invecchiato bene davanti alla filologia e all’archeologia, mostra le capacità intellettuali del futuro capo religioso che produrrà altri testi pseudepigrafici come DeA 7, il Libro di Abrahamo e, se avesse avuto il tempo prima di morire, il Libro di Giuseppe e chissà quanto altro. Durante la sua vita Joseph curiosamente non citerà quasi mai il Libro di Mormon nei suoi sermoni, come fatto notare da Grant Underwood nel 1984 in un articolo nel numero autunnale di Dialogue.
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