Molto materiale presentato qui è raccolto nel blog A Careful Examination, nel post Book of Mormon parallels to 1800s thought.
In chiesa si sente spesso che il Libro di Mormon è un ottimo esempio di letteratura ebraica e che sarebbe stato impossibile per Joseph Smith scriverlo nel 1829. Lo studio e vari approfondimenti sulla cultura religiosa e popolare degli Stati Uniti della prima metà del 1800 mi hanno portato a vedere che invece il Libro di Mormon si allinea molto precisamente a quel contesto culturale e temporale, mentre la sedicente influenza ebraica proviene esclusivamente dalla Bibbia di re Giacomo.
Materiale tratto dalla Bibbia
Mark Twain nel 1907 |
Scrivere testi riprendendo da vicino lo stile della Bibbia di re Giacomo era un’usanza diffusa negli Stati Uniti fra l’era rivoluzionaria e quella jacksoniana (1770-1830 circa) e viene adottata da alcune opere per dare solennità e legittimità alla storia americana, fornendo così un’identità alla neonata nazione (si veda per esempio The Late War between the United States and Great Britain del 1816, usato nelle scuole). Per questo stesso motivo il Libro di Mormon cerca di darsi un tono e parla in modo quasi sacrale degli Stati Uniti come terra scelta da Dio (2 Nefi 1), di libertà e dove non ci saranno re (2 Nefi 11) come molti si auspicavano dopo l’indipendenza dal Regno Unito di Giorgio III. Uno dei motivi per cui i mormoni vedono ebraismi nel Libro di Mormon è proprio perché questi risultano dall’imitazione dello stile della re Giacomo e infatti quelle forme si ritrovano anche nelle altre opere dell’epoca che adoperano questo stile. Per approfondire il tema rimando al capitolo 5 di Americanist Approaches to The Book of Mormon dove Eran Shalev, professore di storia dell’università di Haifa, chiama la pratica pseudobiblicismo.
Oltre a far notare il linguaggio biblico, Mark Twain rimarca che anche la trama ha elementi comuni a quelli biblici. Fra le somiglianze c’è qualche passaggio che mi ha sempre dato da pensare:
Una quarantina di esempi fatti dal ricercatore statunitense Ryan Thomas mostrano che il viaggio di Lehi e famiglia nel deserto è ispirato all’Esodo: le missioni di Lehi e Mosè iniziano quando la presenza divina si manifesta nelle fiamme, entrambi i gruppi vagano per anni nel deserto dopo essere stati salvati dalla schiavitù (presente per gli israeliti e futura per i lehiti, se fossero rimasti a Gerusalemme) diretti verso una terra promessa. Prima di partire cercano diverse volte di convincere il faraone/Labano a venire incontro alle loro richieste ma vengono traditi. Lungo il viaggio impartiscono nomi a vari luoghi e sia Mosè che Lehi danno interpretazioni poetiche dei nomi dei figli. Ci sono varie ribellioni e lamentele per la mancanza di cibo in cui si accusano le guide di averli portati nel deserto solo per morire; molti concludono che sarebbe stato meglio non partire o perfino essere morti prima. Nefi stesso fa riferimento diverse volte agli eventi dell’Esodo mostrando questi paralleli in 1 Nefi 17 e 19.
La vita di Alma il Giovane (Mosia 27) ricalca
chiaramente quella di Paolo (Atti 9): all’inizio perseguitano i cristiani, poi
hanno un’esperienza sovrannaturale che fa perdere loro i sensi per alcuni
giorni, vengono guariti da un predicatore e per questo si convertono diventando
grandi missionari. A un certo punto Alma e Amulec vengono percossi e
imprigionati, ma sono liberati dai legami per intervento divino e la prigione
crolla a causa di un terremoto (Alma 14), proprio come accaduto a Paolo e Sila
(Atti 16).
L’allegoria dell’olivo domestico e dell’olivo selvatico in Giacobbe 5 è un miscuglio del canto della vigna: “Io vo’ cantare per il mio benamato il cantico dell’amico mio circa la sua vigna. Il mio benamato aveva una vigna sopra una fertile collina. La dissodò, ne tolse via le pietre, vi piantò delle viti di scelta, vi fabbricò in mezzo una torre, e vi scavò uno strettoio. Ei s’aspettava ch’essa gli facesse dell’uva, e gli ha fatto invece delle lambrusche. Or dunque, o abitanti di Gerusalemme e voi uomini di Giuda, giudicate voi fra me e la mia vigna! Che più si sarebbe potuto fare alla mia vigna di quello che io ho fatto per essa? Perché, mentr’io m'aspettavo che facesse dell’uva, ha essa fatto delle lambrusche? Ebbene, ora io vi farò conoscere quel che sto per fare alla mia vigna: ne torrò via la siepe e vi pascoleranno le bestie; ne abbatterò il muro di cinta e sarà calpestata. Ne farò un deserto; non sarà più né potata né zappata, vi cresceranno i rovi e le spine; e darò ordine alle nuvole che su lei non lascino cader pioggia. Or la vigna dell’Eterno degli eserciti è la casa d’Israele, e gli uomini di Giuda son la piantagione ch’era la sua delizia; ei s’era aspettato rettitudine, ed ecco spargimento di sangue; giustizia, ed ecco grida d’angoscia!” (Isaia 5:1-7) e della parabola del fico sterile: “Un tale aveva un fico piantato nella sua vigna; e andò a cercarvi del frutto, e non ne trovò. Disse dunque al vignaiuolo: Ecco, sono ormai tre anni che vengo a cercar frutto da questo fico, e non ne trovo; taglialo; perché sta lì a rendere improduttivo anche il terreno? Ma l’altro, rispondendo, gli disse: Signore, lascialo ancora quest’anno, finch’io l'abbia scalzato e concimato; e forse darà frutto in avvenire; se no, lo taglierai.” (Luca 13:6-9) Il passaggio in Giacobbe 5:42 che dice: “ed ora tutti gli alberi della mia vigna non sono buoni a nulla, se non per essere abbattuti e gettati nel fuoco” copia Matteo 3:10: “E già la scure è posta alla radice degli alberi; ogni albero dunque che non fa buon frutto, sta per esser tagliato e gittato nel fuoco.”
Nonostante il Libro di Mormon dica di essere stato scritto a partire dal VI secolo a.C., è costellato di brani biblici scritti dopo la conquista babilonese del regno di Giuda, che quindi non potevano trovarsi nelle tavole di Labano: il solo Nefi per esempio cita frequentemente nei suoi due libri passaggi del Deutero-Isaia che erano stati scritti a partire dall’esilio babilonese (dal capitolo 40 di Isaia in poi), Malachia (scritto dopo il ritorno dall’esilio) e libri neotestamentari come i quattro Vangeli, Atti, Apocalisse, metà delle lettere paoline (Romani, 1 e 2 Corinzi, Galati, Efesini, 1 Timoteo), Ebrei e 2 Pietro. Grant Hardy, professore di storia alla University of North Carolina di Asheville, ricorda inoltre che il libro di Isaia è “il prodotto di diversi secoli di redazione e accrescimento intensivi. In altre parole, anche Isaia 2-14 avrebbe avuto un aspetto molto diverso ai tempi di Nefi da quello che aveva quattrocento anni dopo all’epoca dei rotoli del Mar Morto, quando era piuttosto simile a quello che abbiamo oggi” (Understanding the Book of Mormon: A Reader’s Guide, p. 69). I successori di Nefi aggiungeranno ai libri citati anche Filippesi, Colossesi, 1 Tessalonicesi, Giacomo, 1 Pietro e 1 Giovanni prima ancora che fossero messi per iscritto dai loro autori.
Ecco alcuni buoni esempi da Enos, Mosia 16, Alma 7 e Moroni 8 per dare un’idea della densità di passaggi del Nuovo Testamento:
I capitoli di 1 Nefi 20-21 sono una copia di Isaia 48-49, 2 Nefi 7-8 e 12-24 vengono da Isaia 50-51 e 2-14, Mosia 14 è Isaia 53, 3 Nefi 12-14 vengono da Matteo 5-7, 3 Nefi 22 viene da Isaia 54 e 3 Nefi 24-25 sono Malachia 3-4. 2 Nefi 27 contiene inoltre gran parte di Isaia 29 e 3 Nefi 20 di Isaia 52. In totale quindi troviamo integralmente nel Libro di Mormon 24 capitoli biblici: Isaia 2-14, 48-51, 53-54, Malachia 3-4 e Matteo 5-7.
Il Libro di Mormon contiene versetti di Marco 16:9-20, un testo spurio non
presente nei manoscritti più antichi del Nuovo Testamento ma citato in 2
Nefi 31:14, 3 Nefi 11:33-34, Mormon 9:22-24 ed Ether 4:18. Più avanti 3
Nefi 13 riprende Matteo 6, ma al versetto 13 conclude la preghiera del
Padre Nostro con la dossologia “Poiché tuo è il regno, e il potere, e la
gloria, per sempre. Amen.” Questi passaggi si trovano nella Bibbia del re Giacomo
ma sono in realtà delle aggiunte tarde e infatti non vengono riportati nella maggior parte delle Bibbie oppure hanno una nota che lo indica (per esempio la Luzzi che impiego dice per Marco 16: “I
due più antichi Mss. non contengono i vers. 9-20” e ha una nota per l’aggiunta dopo Matteo 6:13). Parlando di Giovanni Battista, 1 Nefi 10:9 riprende il testo della re Giacomo dicendo “che egli avrebbe battezzato a Bethabara al di là del Giordano” anziché a Betania, come dice originariamente Giovanni 1:28; Bethabara è però una località alternativa che sarebbe stata proposta solo a partire dal III secolo da Origene nel suo Commento al Vangelo di Giovanni e quindi non si capisce come Nefi abbia potuto tirarla in ballo molti secoli prima.
Le citazioni bibliche sono copiate tali e quali dalla Bibbia del re Giacomo, anche quando alcune di queste verranno poi modificate da Smith stesso nella sua versione ispirata della Bibbia (per esempio 3 Nefi 13:12, 25-27 e 14:6 sono identici a Matteo 6:13, 25-27 e 7:6 ma nella Versione Ispirata sono diversi).
Secondo me una traduzione scorretta della Bibbia del re Giacomo porta Smith a immaginare l’episodio in cui Nefi dice: “[…] ruppi il mio arco che era fatto di un bell’acciaio” (1 Nefi 16:18), tratta da Salmi 18:34 “He teacheth my hands to war, so that a bow of steel is broken by mine arms”. La traduzione di Luzzi lo rende più correttamente in “ammaestra le mie mani alla battaglia e le mie braccia tendono un arco di rame” perché il termine originale nechushah in ebraico significa rame o bronzo, non acciaio. Preciso inoltre che le citazioni scritturali che ho elencato sono tutte tratte dalla Luzzi e dalla versione italiana del Libro di Mormon; in inglese, il Libro di Mormon cita quasi sempre la Bibbia di re Giacomo in modo testuale e raccomando il confronto diretto.
I nomi ebraici sono copiati dalla Bibbia e abbiamo addirittura un Timoteo in 3 Nefi 19:4, che però è greco, oppure in Alma 47:7 si parla del monte Antipa, come il soprannome del figlio di Erode il Grande. Smith arriva a imitare i nomi teoforici ebraici, intenzionalmente o no: questi sono nomi come Geremia, Isaia, Elia, Malachia o Zaccaria composti col suffisso -iah, che indica Geova, e ispirano nel Libro di Mormon i vari Moroniha, Nefiha, Mathonia, Ammoniha o Cumeniha, che rispecchiano Moroni, Nefi, Mathoni, Ammon e Cumeni. I nomi non biblici invece sono inventati di sana pianta e non seguono né l’onomastica ebraica né quella di un qualsiasi popolo precolombiano. I Giarediti, nonostante vivessero molti secoli prima della nascita della cultura ebraica, avevano curiosamente anche nomi ebraici: Efraim è una collina in Ether 7:9, mentre personaggi chiamati Levi e Aaronne sono presenti nella genealogia di Ether 1:15, 20. La stessa collina di Cumora è secondo me ispirata al nome di Gomorra, che in inglese si pronuncia in modo molto simile.
Quando Gesù fa la sua apparizione in America ripete parola per parola Malachia 3 e 4 e il sermone sul monte, già presenti nella Bibbia e pertanto ridondanti per lettori contemporanei (e come abbiamo visto, già citati anche in altri passaggi del Libro di Mormon). Quando, al culmine della scena, dei bambini ripieni dello spirito dicono “cose grandi e meravigliose, perfino più grandi di quelle ch’egli aveva rivelato al popolo”, queste vengono liquidate con un semplice “non è lecito siano scritte” (3 Nefi 26:1-18), il che è un vero peccato perché avrebbero potuto arricchire molto un libro che non si discosta poi tanto dalla Bibbia. In 3 Nefi 12 Gesù cita Matteo 5 mantenendo elementi estranei al contesto nefita, che caratterizzavano invece la cultura giudaica del I secolo d.C. Sebbene al versetto 26 cambi giustamente il termine originale greco per quadrante, la più piccola moneta dell’impero romano, con la moneta nefita denominata senina (Alma 11 aveva d’altronde già illustrato la loro monetazione e la necessità della sostituzione era ovvia), poi non opera più queste sostituzioni necessarie perché i Nefiti capiscano. Al versetto 22 per esempio impiega il termine aramaico raca, che era una parola sconosciuta in America: l’aramaico era la lingua franca dell’impero neobabilonese e i Giudei lo adotteranno durante la cattività babilonese. Nel versetto 41 dice: “E chiunque ti costringe a fare un miglio, fanne con lui due”, dove il verbo greco usato originariamente nel senso di costringere è angareuo e indicava l’odiata pratica risalente ai Persiani e poi adottata anche dai Romani secondo cui l’impero poteva requisire uomini e animali locali per il servizio postale per una certa distanza (il latino angaria dà origine all’italiano “angheria”), usanza che ovviamente non poteva essere stata trasmessa ai discendenti di Lehi visto che avevano abbandonato Gerusalemme sessant’anni prima dell’arrivo dei Persiani di Ciro il Grande.
Un altro problema in 3 Nefi è che queste sarebbero le parole testuali dette da Gesù e trascritte al momento, non come nel caso del Nuovo Testamento scritto decenni dopo la crocifissione, e dovrebbero essere quindi le più fedeli all’originale. Eppure diversi passaggi verranno resi diversamente da Joseph Smith quando farà la sua revisione della Bibbia (peraltro copiata non poco dai commenti di Adam Clarke, che mostra quanto Joseph non si facesse problemi ad attingere e copiare materiale dalle sue letture, cosa che sarà trattata più avanti), come Matteo 5:40-41 che è diverso dal suo corrispettivo Matteo 5:42-43 della JST. Quando Moroni gli apparirà nel 1823 gli ripeterà dei passaggi di Malachia, che per qualche motivo “Citò dapprima una parte del terzo capitolo di Malachia; e citò pure il quarto, ossia l’ultimo capitolo della stessa profezia, sebbene con una piccola variante rispetto al modo in cui si legge nelle nostre Bibbie”, diverso quindi anche dal testo presente nel Libro di Mormon (Joseph Smith – Storia 1:36-39)
Materiale tratto dal protestantesimo americano
Alexander Campbell attorno al 1855 |
Il Libro di Mormon è pieno di discorsi simili a quelli dei predicatori del secondo grande risveglio. Nel numero del 5 agosto 1833 del North Star pubblicato a Danville, nel Vermont, un certo pastore D. Marks cita un’osservazione di Alexander Campbell, secondo il quale prima di morire Nefi “aveva predicato al suo popolo ogni cosa che è ora predicata nello Stato di New York”. Campbell, uno dei fondatori del restaurazionismo a cui era legato personalmente un futuro collaboratore di Smith, Sidney Rigdon, disse dopo aver letto il Libro di Mormon: “Questo profeta Smith, attraverso i suoi occhiali di pietra, ha scritto sulle tavole di Nefi, nel suo Libro di Mormon, ogni errore e quasi tutte le verità discusse nello Stato di New York negli ultimi dieci anni. Egli decide riguardo tutte le grandi controversie -battesimo di bambini, ordinazione, la trinità, rigenerazione, pentimento, giustificazione, la caduta dell’uomo, l’espiazione, transustanziazione, digiuno, penitenza, governo della chiesa, esperienza religiosa, la vocazione al ministero, la resurrezione generale, la punizione eterna, chi può battezzare e perfino la questione della massoneria, del governo repubblicano e i diritti dell’uomo. Ci sono riferimenti ripetuti a tutti questi argomenti. Quanto è benevolo e intelligente questo apostolo americano, più dei santi dodici, anche aiutati da Paolo! Ha profetizzato su tutti questi argomenti e sull’apostasia e decide, in modo infallibile, con la propria autorità, ogni questione. Com’è facile profetizzare sul passato o sul tempo presente!” (Delusions. An Analysis of the Book of Mormon, 1832, p. 13)
Campbell fa anche notare alle pagine 9-10 dello stesso testo che nel Libro di Mormon ci sono discorsi religiosi antimassonici riguardo le società segrete, incarnate nei ladroni di Gadianton, anch’essi molto comuni all’epoca. L’ex massone William Morgan, che abitava nella regione dei Finger Lakes (la stessa dove sorge Palmyra), aveva minacciato di pubblicare un libro che avrebbe svelato i dettagli delle cerimonie massoniche. Nel 1826 scomparve senza lasciare tracce e si sospettò che fosse stato ucciso dai massoni come rappresaglia, perciò nacque un grande sentimento antimassonico; si arrivò perfino a creare per le elezioni presidenziali del 1828 il Partito Antimassonico, per opporsi al popolare candidato massone Andrew Jackson del Partito Democratico. Più tardi la vedova di Morgan, Lucinda Pendleton, diventerà mormone. Hyrum Smith, fratello maggiore di Joseph, era come moltissime persone all’epoca un massone e più avanti vedremo come Joseph non esiterà a rimproverare nel Libro di Mormon le credenze di altri membri della propria famiglia. Lo stesso Martin Harris riteneva che il Libro di Mormon fosse “la Bibbia antimassonica e che tutti coloro che non ci credono saranno dannati” (Geauga Gazette, 15 marzo 1831) e Benjamin Winchester, battezzato nel 1833, dirà che “Il Libro di Mormon venne scritto all’incirca nel periodo dell’eccitazione sul tema della massoneria nell’ovest dello stato di New York. Penso che chiunque abbia letto il libro sarà d’accordo con me che condanna la massoneria, dato che certamente condanna le società segrete.” (Salt Lake Daily Tribune, 22 settembre 1889) Helaman 6:22 parla di segni e parole usate dai Gadianton per identificarsi, proprio come fanno i massoni con le loro strette di mano e parole d’ordine: “Ed avvenne che avevano i loro segni, sì, i loro segni segreti e le loro parole segrete; e ciò per poter distinguere un fratello che era entrato nell’alleanza, affinché qualunque malvagità suo fratello commettesse non fosse danneggiato da un suo fratello, né da quelli che appartenevano alla sua banda, che avevano fatto questa alleanza”, mentre Helaman 7:4-5 mostra la peggiore paura degli antimassoni: un governo sovvertito dalle trame segrete della massoneria: “E vedendo il popolo in uno stato di così terribile malvagità, e quei ladroni di Gadianton che occupavano i seggi del giudizio, avendo usurpato il potere e l’autorità del paese, non curandosi dei comandamenti di Dio e non agendo correttamente nella più piccola cosa dinanzi a lui, e non facendo giustizia ai figlioli degli uomini; condannando i giusti a motivo della loro rettitudine; lasciando andare impuniti i colpevoli e i malvagi a causa del loro denaro; e per di più per essere mantenuti in carica a capo del governo, per dominare e agire secondo la loro volontà, per poter ottenere guadagno e la gloria del mondo, e per di più per poter più facilmente commettere adulterio, e rubare, e uccidere e fare secondo la loro propria volontà”. Col passare del tempo Joseph Smith cambierà idea sulla massoneria e il 15 marzo 1842 lui stesso entrerà a farne parte, copiandone le cerimonie di iniziazione per creare il 4 maggio seguente l’ordinanza dell’investitura.
Anche il ministro di culto unitariano Jason Whitman fece una recensione del Libro di Mormon molto interessante, in cui faceva notare che i Nefiti non si comportavano molto da ebrei, bensì “le esortazioni sono fortemente influenzate dalle dottrine dell’ortodossia moderna.” Poi dice che nel Libro di Mormon “c’è il tentativo di imitare lo stile delle sacre scritture. Ma il tentativo non ha successo” perché la grammatica è davvero pessima e gli sforzi di presentare un linguaggio arcaico sono goffi. Aggiunge anche che “se contesti i resoconti storici dei loro libri sacri, indicano i tumuli nelle terre a ovest come resti di antiche città e come prova che questo paese era una volta abitato da una razza di persone che conoscevano meglio le arti della vita civilizzata rispetto all’attuale razza di selvaggi; e sostengono che questa sia prova presunta e sufficiente della verità della storia” (il tema dei tumuli è trattato più avanti nel post). Anche lui ricorda che “è risaputo che in molte menti c’è un forte sentimento di opposizione verso l’istituzione della massoneria. Tutti questi trovano qualcosa nel Libro di Mormon che viene incontro alle loro idee” e che “nel libro stesso ci sono abili adattamenti dei pregiudizi noti della comunità.” (The Unitarian, 1° gennaio 1834)
L’archeologo della BYU Ray T. Matheny disse a Sunstone il 25 agosto 1984 che nel Libro di Mormon “le terminologie e il linguaggio usati e i metodi per spiegare e mettere le cose nero su bianco sono concetti letterari del XIX secolo ed esperienze culturali che uno si aspetterebbe fossero sperimentate da Joseph Smith e i suoi colleghi.” Il professor David P. Wright venne invece licenziato dalla BYU perché, fra le altre cose, secondo lui “il Libro di Mormon si spiega meglio come opera scritturale del XIX secolo piuttosto che come traduzione di un documento dell’America antica attorno al 600 a.C.-400 d.C.” e che “mentre alcuni studiosi mormoni, principalmente alla BYU, ribadiscono la sua antichità, sempre più studiosi mormoni stanno riconoscendo che, se il libro non deriva interamente da un’origine ottocentesca, è stato ampiamente influenzato dagli interessi di quell’epoca.” (Sunstone, maggio 1988) Lo scrittore mormone Blake Ostler ribadì, volendo proporre in un articolo del 1987 che fossero state aggiunte da Joseph Smith, che “molte dottrine del Libro di Mormon si spiegano meglio in un contesto teologico del XIX secolo.” Anche lo storico Richard Bushman dice in un’intervista del 2015 che “ci sono formulazioni dappertutto -lunghe frasi che se le si cerca su Google si trovano negli scritti del XIX secolo. La teologia del Libro di Mormon è proprio teologia del XIX secolo e suona come la comprensione del XIX secolo della Bibbia ebraica come di un Antico Testamento. In altre parole, ha in essa Cristo nel modo in cui i protestanti vedevano Cristo ovunque nell’Antico Testamento.” Nel 2021 lo studioso William L. Davis, oltre a far notare che i sommari all’inizio dei vari libri indicano che Smith aveva già pianificato a grandi linee come si sarebbero sviluppate le storie, scrive che “La presenza ovunque di tecniche compositive del XIX secolo, il residuo pervasivo di strategie predicatorie contemporanee e la saturazione dell’opera con concetti, fraseologia e vocabolario del XIX secolo indicano tutti direttamente e specificamente Joseph Smith come la fonte e l’assemblatore di queste componenti narrative.” (Visions in a Seer Stone, p. 163)
Vari camp meetings ottocenteschi |
Re Beniamino che si fa costruire una torre per predicare al popolo disposto in tende rivolte verso di lui (Mosia 2:6-7) riprende i camp meetings del secondo grande risveglio, dove i viaggiatori disponevano l’ingresso delle loro tende davanti alla piattaforma da cui il predicatore parlava. Le reazioni della folla in Mosia 4:1-3 sono le stesse che si vedevano in un camp meeting, con gente che si sentiva oppressa dalle proprie colpe, cadeva per terra o sveniva, implorava la remissione dei peccati, veniva assolta e andava in estasi accettando Cristo. Questa sequenza è ripresa spesso nel libro, come nel caso di Zeezrom in Alma 15, re Lamoni e la sua famiglia in Alma 18-19, Alma il Giovane in Alma 36 e così via. Il Settanta e assistente storico della Chiesa B. H. Roberts scrisse attorno al 1920 Studies of the Book of Mormon, in cui analizza molti dei problemi riguardo il libro e sottolinea che “Adesso è chiaramente stabilito che quelle scene di fervore religioso erano comuni nel vicinato in cui risiedeva Joseph Smith nella sua giovinezza e prima età adulta. Gli scritti di Jonathan Edwards erano facilmente accessibili attraverso il New England in quei giorni e Joseph Smith stesso entrò in contatto con quei fenomeni emotivi per esperienza diretta dopo la loro rinascita nei primi decenni del XIX secolo. La domanda è: la sua conoscenza di queste cose lo portò a introdurle nella narrativa del Libro di Mormon? Penso che non possa essere messo in discussione: dove c’è una somiglianza sufficiente fra gli esempi di emozioni religiose nel Libro di Mormon e quelle presentate nelle citazioni precedenti dalle opere di Edwards e degli altri, si legittima il pensiero che queste ultime possano proprio aver suggerito, e siano a tutti gli effetti diventate, la fonte del primo.” (Studies of the Book of Mormon, p. 308)
Il già citato Campbell aveva scritto nel Christian Baptist del 1° marzo 1824
che “Con una Bibbia aperta in mano devo dire che Dio non ha mai chiamato un
uomo ad alcuna opera senza che fosse pienamente qualificato e nella cui
esecuzione non abbia avuto successo”, concetto che si ritrova nel famoso 1 Nefi 3:7: “poiché so che il Signore non dà alcun comandamento ai figlioli degli
uomini senza preparare loro una via affinché possano compiere quello che egli
comanda loro.” Sono stato molto sorpreso nel constatare che almeno un altro paio di padronanze scritturali del Libro di Mormon erano già state espresse quasi un secolo prima dal pastore statunitense Jonathan Edwards, una delle figure più importanti del primo grande risveglio ricordate da Roberts: nel 1734 sostiene che “il diavolo che, poiché lui stesso è miserabile, non vuole che altri possano essere felici”, proprio come fa il diavolo in 2 Nefi 2:27 che “cerca di rendere tutti gli uomini infelici come lui.” Nel 1736 spiega anche che gli uomini “Sono nemici di Dio nei loro desideri. In ogni uomo naturale c’è un germe di malizia contro Dio.” Mosia 3:19 è d’accordo: “Poiché l’uomo naturale è nemico di Dio”.
Alma 42 ha molti punti comuni con The
salvation of all men strictly examined, del figlio omonimo di Jonathan
Edwards, pubblicato nel 1790 e di nuovo nel 1824. Le idee dei versetti 19-22
coincidono con quelle esposte da Edwards nei capitoli 8 e 15, per esempio Alma
dice: “Ora, se non fosse stata data una
legge — se l’uomo ammazza deve morire — avrebbe egli paura di morire
se avesse ammazzato? E inoltre, se non fosse
stata data una legge contro il peccato, gli uomini non avrebbero paura di
peccare. E se non fosse stata data una legge,
se gli uomini peccavano cosa poteva fare la giustizia, o anche la misericordia,
poiché non avrebbero avuto nessun diritto sulla creatura? Ma è stata data una legge, e una punizione è stata
fissata, ed è stato concesso il pentimento; pentimento che la misericordia
esige; altrimenti la giustizia reclama la creatura e applica la legge, e la legge
infligge la punizione. Se non fosse così, le opere della giustizia sarebbero
distrutte, e Dio cesserebbe di essere Dio.” Edwards sostiene che “Non può
essere negato che se per i malvagi non ci fosse la minaccia di nessuna
punizione, ciò li incoraggerebbe naturalmente e direttamente a persistere nel
vizio.” (p. 280) Aggiunge che “È generalmente concordato che l’omicida meriti
la morte. Ma supponete che si faccia una legge secondo la quale nessun omicida
debba essere punito con la morte o qualsiasi altra punizione prolungata fino a
quando si penta. Una tale legge non tenderebbe naturalmente e direttamente ad
incoraggiare l’omicidio rispetto alla legge attuale?” (p. 281) Quindi “Il bene
generale richiede che il peccato venga punito a seconda del suo demerito,
almeno in certi casi; altrimenti Dio non mostrerebbe di essere ciò che è
realmente, un nemico del peccato che è grandemente contrariato da esso.” (pp.
156-157)
Alma 40 riprende da vicino i contenuti del capitolo 32 della confessione di fede di Westminster, un documento fondamentale per i presbiteriani, di cui facevano parte la madre di Joseph Smith e alcuni dei fratelli:
Nella prima metà del 1800 impazzava inoltre l’universalismo, una corrente religiosa che, chiedendosi “Com’è possibile che un essere di infinita bontà concepisca una creatura razionale di propria mano per uno stato di miseria infinita?” (Universalist Magazine, 3 luglio 1818), era giunta alla conclusione che tutti gli uomini sarebbero stati salvati a prescindere dalle loro opere. L’universalismo aveva due filoni: i restaurazionisti e gli ultra universalisti. I primi credevano che la vita eterna sarebbe stata preceduta da una punizione temporanea per i peccati commessi, mentre i secondi ritenevano che non ci fosse nemmeno tale pena. I critici dell’universalismo sostenevano che questi insegnamenti incoraggiassero comportamenti illegali e immorali perché senza la paura della punizione divina ognuno poteva fare ciò che voleva senza temere conseguenze eterne. Anche il Libro di Mormon si oppone nettamente a questi concetti, tant’è che Mormon 8:31, col senno di poi, annuncia: “Sì, avverrà in un giorno in cui vi saranno grandi contaminazioni sulla faccia della terra, e vi saranno omicidii, e ruberie, e menzogne, e inganni, e prostituzioni e ogni sorta di abominazioni; quando ve ne saranno molti che diranno: Fate questo, o fate quello, non importa, poiché il Signore ci sosterrà all’ultimo giorno. Ma guai a costoro, poiché sono nel fiele dell’amarezza e nei legami dell’iniquità.” 2 Nefi 28:7-8 invece smentisce entrambe le correnti universaliste dicendo “Sì, e ce ne saranno molti che diranno: Mangiate, bevete e siate allegri, poiché domani morremo; e tutto andrà bene per noi. E ce ne saranno anche molti che diranno: Mangiate, bevete e siate allegri; nondimeno temete Dio — egli giustificherà chi commette un piccolo peccato; sì, mentite un poco, approfittate di qualcuno a causa delle sue parole, escogitate inganni per il vostro prossimo; non vi è alcun male in ciò; e fate tutte queste cose poiché domani morremo; e se accadrà che saremo colpevoli, Dio ci colpirà con alcune sferzate, e alla fine saremo salvati nel regno di Dio.” La frase “Mangiate, bevete e siate allegri, poiché domani morremo” fonde Isaia 22:13 (“mangiamo e beviamo, poiché domani morremo”) ed Ecclesiaste 8:15 (“fuori del mangiare, del bere e del gioire”, cfr. Luca 12:19 “mangia, bevi, godi”) e non la si ritrova tale e quale nella Bibbia, bensì in opere successive.
Il padre, il nonno paterno di Joseph Smith e anche due dei primissimi convertiti e finanziatori, Martin Harris e Joseph Knight padre, erano universalisti prima di unirsi al mormonismo e non sorprende quindi che il libro ne parli tanto. Molti dei malvagi del Libro di Mormon seguivano questa dottrina: Nehor (Alma 1) fonda l’ordine che porta il suo nome e fra i suoi seguaci ci sono Amlici (Alma 2), Zeezrom e gli abitanti di Ammoniha (Alma 11-14), gli Amalechiti e gli Amuloniti (Alma 21). Nel 1835 esce References to the Book of Mormon, il primo per il Libro di Mormon, e sia Nehor che Amlici vengono esplicitamente identificati come universalisti. Joseph Smith ammorbidirà molto la sua posizione antiuniversalista negli anni, tant’è che in DeA 76 solo i figli di perdizione non avranno un qualche grado di salvezza e tutti gli altri saranno assegnati a uno dei tre regni di gloria. Nel sermone per King Follett dirà in merito all’inferno: “Non temo le fiamme dell’inferno, esse non esistono, ma il tormento e il rammarico della mente dell’uomo sono portentosi quanto un lago di fuoco e zolfo”, nonostante Nefi avesse spiegato ai fratelli: “E c’è un luogo preparato; sì, proprio quell’orribile inferno di cui ho parlato, e il diavolo ne è l’artefice; pertanto la condizione finale delle anime degli uomini è di dimorare nel regno di Dio o di essere scacciate a causa di quella giustizia di cui ho parlato.” (1 Nefi 15:35)Nel bacino del Mississippi e dell’Ohio i popoli precolombiani avevano per secoli eretto impressionanti tumuli e costruito città, fra cui il famoso Serpent Mound (Ohio) e la grande Cahokia (Illinois); il contatto con gli europei a partire dal XVI secolo portò i nativi ad adottare cavalli e attrezzi in ferro e acciaio dai nuovi coloni ma portò anche malattie come il vaiolo, che decimarono la loro popolazione e portò al collasso diverse civiltà già messe alla prova dalla piccola era glaciale. Gli amerindiani si riorganizzarono in villaggi più piccoli o in gruppi seminomadici e gradualmente dimenticarono lo stile di vita dei loro antenati, mentre le guerre irochesi fra il 1609 e il 1701 portarono ulteriori sconvolgimenti nella regione dei Grandi Laghi. Il proclama reale del 1763 vieterà ai coloni americani e agli speculatori di occupare le terre a ovest dei monti Appalachi, ma già circolavano storie di enormi tumuli costruiti da una civiltà perduta. Il ritrovamento di sepolture con artefatti di ferro portò erroneamente a pensare che i popoli antichi lo lavorassero, mentre se si fossero fatti scavi archeologici considerando gli strati avrebbero realizzato che erano sepolture che avevano solo uno o due secoli e che gli oggetti in ferro erano stati scambiati con i coloni. Nacque così il mito dei Moundbuilders (costruttori di tumuli), per cui si sosteneva che i nativi americani non fossero abbastanza avanzati da aver potuto erigere i notevoli tumuli che costellavano il paese e che questi fossero opera di popoli antichissimi e molto progrediti. Le versioni più apprezzate erano quelle in cui popoli provenienti dal vecchio mondo avevano stabilito complesse civiltà e non si esitava a usare perfino falsi manufatti con testi in fenicio, ebraico, latino o anche geroglifici e cuneiforme per dimostrarlo: un’ottima scusa per giustificare il genocidio dei nativi americani e dire che tutto sommato gli statunitensi si stavano solo riappropriando delle terre da cui questi popoli del vecchio mondo erano stati crudelmente scacciati e sterminati dagli antenati degli amerindiani.
La versione più popolare era però che gli amerindiani discendessero da qualche gruppo di antichi ebrei. La storica Fawn Brodie fa alcune considerazioni sul soggetto alle pagine 45-47 di No Man Knows My History: Jonathan Edwards figlio, parlando nel 1788 di supposte analogie fra la lingua mohicana e l’ebraico, dice che questo “prova che gli indiani del Nord America sono di estrazione ebraica, o almeno asiatica” (Observations on the Language of the Muhhekaneew Indians, p. 16). Josiah Priest aveva pubblicato nel 1833 American Antiquities dicendo che “l’opinione che gli Indiani d’America siano discendenti delle dieci tribù perdute è una popolare al momento ed è generalmente creduta.” Già nel 1876 il vento era cambiato e lo storico H. H. Bancroft diceva in The Native Races (pp. 77-78) che “la teoria che gli americani siano di origine ebraica è stata discussa più minuziosamente e in modo più dettagliato di qualsiasi altra. I suoi sostenitori, o almeno quelli fra loro che hanno fatto ricerche originali, sono relativamente pochi ma la portata delle loro investigazioni e la moltitudine dei parallelismi che portano in supporto della loro ipotesi supera di gran lunga qualsiasi cosa abbiamo per ora incontrato.” Sarà l’etnologo Cyrus Thomas a sfatare definitivamente il mito razzista e degradante dei Moundbuilders, provando che erano effettivamente gli antenati degli amerindiani ad avere eretto i tumuli, nel suo Report on the mound explorations of the Bureau of ethnology del 1894.
Traditions of Dee-Coo-Dah and Antiquarian Researches, 1858 |
Altri autori sostenevano che gli amerindiani stessi discendevano dalle tribù perdute di Israele come il rabbino Mordecai Manuel Noah, che aveva detto in un discorso nel settembre 1825 “se le tribù potessero essere riunite, fossero sensibilizzate sulle loro origini, potessero essere civilizzate e restituite ai loro fratelli persi da tanto tempo, che gioia sarebbe per la nostra gente!” Questi concetti sono importanti anche per View of the Hebrews, un libro del pastore Ethan Smith del 1823, che secondo gli Studi di B. H. Roberts avrebbe potuto ispirare Joseph Smith nella stesura del Libro di Mormon. I temi del trattato sono molto simili a quelli del Libro di Mormon e di seguito riporto qualche citazione rilevante:
“Israele portò in questo nuovo continente un considerevole livello di civiltà; e la maggior parte di loro lavorò sodo per mantenerlo. Ma altri regredirono nella caccia e nel conseguente stato selvaggio, le barbare orde dei quali invasero i loro fratelli più civilizzati e infine annientarono la maggior parte di essi, tutto ciò in queste regioni settentrionali!” (pp. 139-140, cfr. 2 Nefi 5)
“Un anziano indiano lo informò che i suoi progenitori in questo paese avevano fino a non molto tempo fa un libro che avevano preservato per un lungo tempo. Ma, avendo perso la capacità di leggerlo, conclusero che non sarebbe più stato utile per loro e lo seppellirono con un capo indiano.” (p. 166, cfr. Mosia 8)
“Le dieci tribù, così come gli ebrei, appartengono alla ‘nazione sparpagliata e scorticata, e terribile fin dall’inizio.’ Sì, il legno di Efraim deve diventare uno nella mano del profeta, assieme al legno degli ebrei, Ezechiele 37:[16]. Se è un fatto che gli aborigeni di questo ‘paese dall’ali strepitanti’ sono le tribù di Israele, capiamo subito cosa si può fare per adempiere alla richiesta indicata da Dio in ciò che li riguarda. E tutti coloro che temono Dio salteranno di gioia: così come la missione di Gerusalemme è già in corso, anche le missioni verso queste tribù di Israele sono in corso!
Se dovessimo trovare ampia convinzione che i nostri nativi appartengono alle tribù perdute di Israele e che la richiesta indicata ci è diretta potremmo, alla luce di questa richiesta e per considerazioni evangeliche connesse ad essa, immaginarci come se fossimo seduti al cospetto del profeta Isaia e immaginarlo sospirare a causa del lungo e terribile esilio dei suoi fratelli di Israele ed esprimere i seguenti sentimenti del santo spirito profetico”. (p. 191, cfr. 2 Nefi 3)
“Guardate l’origine di questi nativi degradati del vostro continente e accorrete in loro soccorso. Mandate loro gli araldi della salvezza. Mandate loro la parola, il pane della vita. Avete ricevuto quel libro dal seme di Abramo. Tutto il vostro volume di salvezza è stato scritto dai figli di Giacobbe. E da loro venne trasferito da Gerusalemme al mondo pagano e perduto e a voi: altrimenti ora sareste dei pagani e perduti per l’eternità. Ricordate dunque il vostro debito di gratitudine verso l’antico popolo di Dio per la parola di vita. Restituitelo loro, raddoppiando così la vostra ricca eredità nelle sue benedizioni. Insegnate loro a leggere il libro di grazia. Insegnate loro la sua storia e la loro. Insegnate loro la storia dei loro antenati, gli atti di Abramo, Isacco e Giacobbe. Raffinate la loro visione oltre gli inseguimenti selvaggi nelle foreste. Elevateli oltre la selvaticità della barbarie e della morte mostrando loro cosa è stato fatto per la loro nazione e cosa deve ancora essere fatto dal Dio dei loro padri in linea con la sua promessa. Insegnate loro la loro storia antica, le loro passate benedizioni, la loro caduta, l’occasione che questa dà e le promesse del loro ritorno. Dite loro che il tempo si avvicina e che devono tornare adesso al Dio della loro salvezza. Dite loro che il loro ritorno sarà come un ritorno alla vita dalla morte per le nazioni dei gentili.” (p. 193, cfr. 2 Nefi 29)
Oliver Cowdery era cresciuto a Poultney, la cittadina del Vermont in cui Ethan Smith aveva risieduto e pubblicato il libro e Joseph Smith stesso citerà View of the Hebrews in un articolo del Times and Seasons del 1° giugno 1842, anche se non è dato sapere se lo avesse letto già a Palmyra oppure solamente dopo. Il trattato fa comunque capire quali idee circolavano all’epoca in merito ai nativi.
Materiale dalle esperienze personali degli Smith
Altri eventi del Libro di Mormon vengono dalle esperienze personali di Smith e famiglia, per esempio il sogno di Lehi (1 Nefi 8 e 11) è ispirato a uno praticamente identico fatto dal padre di Joseph Smith:
“Credevo di star viaggiando in un campo aperto e desolato che appariva molto brullo. […] La mia guida, che era al mio fianco come l’altra volta, disse: “Questo è il mondo desolato, ma prosegui.” […] Camminando per un altro breve tratto, giunsi a un sentiero stretto. Imboccai questo sentiero e, dopo averlo percorso per un po’, vidi un bel corso d’acqua che scorreva da est a ovest. Non potevo vedere né la fonte né la fine; ma ovunque arrivassero i miei occhi potevo vedere una fune che correva lungo la sua riva, posta a un’altezza che un uomo poteva raggiungere, e oltre c’era una vallata bassa ma molto piacevole nella quale sorgeva un albero come non ne avevo mai visti prima. Era estremamente bello, tanto che lo contemplai con stupore e meraviglia. I suoi bei rami si allargavano un po’ come un ombrello e reggeva certi frutti molto simili a un riccio di castagno e bianchi come la neve o anche più, se possibile. […] Mi avvicinai e cominciai a mangiarne e lo trovai delizioso oltre ogni descrizione. Mentre mangiavo dissi nel mio cuore: “Non posso mangiarne da solo, devo portare mia moglie e i figli perché possano prenderne parte con me.” Pertanto andai e portai la mia famiglia […] Nel mentre, vidi un edificio spazioso che si ergeva dalla parte opposta della valle nella quale eravamo e sembrava raggiungere il cielo stesso. Era pieno di porte e finestre ed esse erano tutte piene di persone vestite molto lussuosamente. Quando quelle persone ci videro in basso nella pianura, ci puntarono con dita di scherno e ci trattarono in ogni modo irrispettoso e disprezzante. Ma noi ci infischiammo completamente dei loro oltraggi. Poi mi volsi verso la mia guida e gli chiesi il significato del frutto che era tanto delizioso. Egli mi disse che era il puro amore di Dio, riversato nei cuori di tutti coloro che lo amano e osservano i suoi comandamenti. […] chiesi alla mia guida quale fosse il significato dell’edificio spazioso che avevo visto. Rispose “È Babilonia, è Babilonia, e deve cadere. Le persone alle porte e alle finestre sono i suoi abitanti, che scherniscono e disprezzano i Santi di Dio a causa della loro umiltà.” (Lucy Mack Smith, History, 1845, pp. 53-55).
D’altronde anche Abner Cole riporta che il padre di Joseph
Smith aveva dichiarato che lo spirito visto dal figlio nel 1823 avrebbe consegnato
al giovane “un libro che dava un resoconto degli antichi abitanti antidiluviani
di questa terra e dove avevano deposto i loro beni […] in luoghi asciutti nelle
vicinanze, e queste cose corrispondevano esattamente alle rivelazioni date e
fatte dal vecchio Smith un certo numero di anni prima.” (Palmyra Reflector, 14
febbraio 1831)
I tesori che sprofondano nella terra e non si riescono più a recuperare come in Helaman 13:35 e Mormon 1:18 sono, come abbiamo già visto, la stessa scusa usata da Smith quando cercava tesori nascosti con le sue pietre divinatorie. Allo stesso modo Moroni/Nefi che appare a Joseph in sogno tre volte e che protegge le tavole d’oro (che Smith aveva trovato con le pietre divinatorie) riprende le storie dei cercatori di tesori dell’epoca, così come l’andare a recuperarle dopo la mezzanotte durante l’equinozio autunnale.
I discorsi di eccezionalismo americano (1 Nefi 2, 13, 22; 2 Nefi 1, 10, Ether 2, 13 e così via) che parlano di come gli USA siano una terra speciale e scelta da Dio su cui non ci saranno re sono significativi, visto che Joseph Smith era nato una generazione dopo la guerra d’indipendenza americana e che il nonno materno, Solomon Mack, ne era un veterano: il Libro di Mormon fa un po’ come Cuore, che era stato scritto per infondere il patriottismo e la morale nella nuova generazione dell’unità d’Italia. Addirittura in Mosia 29:26 il re nefita decide di abdicare e di lasciare che il popolo si governi: “Perciò scegliete voi, per voce di questo popolo, dei giudici, affinché possiate essere giudicati secondo le leggi che vi sono state date dai nostri padri, che sono giuste, e che furono date loro dalla mano del Signore. Ora non avviene comunemente che la voce del popolo desideri qualcosa contraria a ciò che è giusto; ma avviene comunemente che una minoranza del popolo desideri ciò che non è giusto; perciò osserverete ciò e ne farete la vostra legge — trattare i vostri affari mediante la voce del popolo.” Degli amici statunitensi, incensando il loro Paese e la sua supposta origine divina, mi hanno fatto realizzare quante somiglianze ci siano fra la loro versione idealizzata di George Washington (che dichiarò nel 1775 “Abbiamo imbracciato le armi in difesa della nostra libertà, delle nostre proprietà, delle nostre mogli e dei nostri bambini: siamo determinati a conservarle o a morire”, cfr. il motto della libertà in Alma 46:12) e il capitano Moroni. Entrambi combattono contro gli uomini del re per la propria libertà e i diritti religiosi, idee che appaiono anche in lunghi discorsi politici sia in Nefi che in Alma e che gli Americani più patriottici amano ricordare e citare occasionalmente.
John Hafen, 1888, "Last Public Address of Lt. Gen. Joseph Smith" |
Infine, nel libro sono presenti anche vari vaticinia ex eventu, descrizioni “profetiche” dettagliate di Giovanni Battista (1 Nefi 10:7), Maria (Alma 7:10), gli apostoli (1 Nefi 11:34), Cristoforo Colombo (1 Nefi 13:12), i Tre Testimoni (Ether 5:4) e anche Joseph Smith stesso (2 Nefi 3:15) incredibilmente specifiche quando si parla di eventi fino a Smith, ma parecchio vaghe quando si parla di avvenimenti successivi.
Lo storico Dale Morgan riassunse così il Libro di Mormon: “Ciò che tuttavia diede vitalità al libro di Joseph non era il contenuto intellettuale, ma l’impatto emozionale che seguiva la sua identificazione con la Bibbia. Joseph non aveva né l’arguzia né l’educazione per scrivere un libro paragonabile alla Bibbia e che gli uomini avrebbero potuto accettare come dello stesso rango, ma possedeva un ingegno senza limiti, una certa plasticità mentale e una facilità verbale che sono degne di tutta ammirazione, a prescindere dai difetti dell’opera che, combinati, produssero. La Bibbia gli diede sia un quadro di riferimento che l’ordito sul quale intessé le avventure di morte e distruzione, moralismi banali, memorie familiari, sermoni revivalisti, allarmi politici, etnologia speculativa, folclore campagnolo e ogni altro curioso filo che costituisce la trama della sua narrativa.” (Dale Morgan on Early Mormonism, p. 318)
Insomma, se il Libro di Mormon sembra molto moderno su certe tematiche non è perché è stato scritto “per i nostri giorni” come si dice in chiesa, ma più semplicemente “ai nostri giorni”. Interessante notare poi che il libro non anticipa dottrine future come le ordinanze del tempio, le innovazioni sulla trinità, i regni di gloria e così via, ma anzi si vedono diverse credenze che Joseph Smith aveva da giovane e che poi abbandonerà o ribalterà nel corso della vita. Leggendo il Libro di Mormon non si trova il pensiero di un popolo di origine ebraica, bensì quello di statunitensi cresciuti con il Nuovo Testamento, dottrine protestanti, valori repubblicani e bizzarre idee su tesori nascosti e i presunti popoli che li avevano seppelliti. Nel prossimo post voglio mostrare come il giovane Joseph Smith non fosse tanto ignorante o incapace di produrlo, come viene spesso ripetuto acriticamente da molti mormoni.
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